Astinenza da guida
Esiste? Pare di no. Eppure, quello che incomincio a sentire dovrebbe avere a che fare con qualcosa del genere. Giunto alla seconda settimana di quarantena, tra le cose che più mi mancano è mettermi al volante di una delle mie auto – classica o moderna fa lo stesso a questo punto – e farmi una corsetta.
Che dico una corsetta… giusto un giretto. Sì perché se si tratta di velocità, di pomparsi adrenalina nel sangue a furia di scatenare cavalli fuorigiro, allora sì, possiamo parlare di dipendenze. Ne sanno qualcosa i molti piloti, di auto e moto, che non ce la fanno a smettere, come il Valentino nazionale o lo sfortunato Schumacher: le hanno provate tutte pur di tenere ghiandole surrenali e ipotalamo impegnati sempre al massimo, spesso facendosi male, come purtroppo si è visto. In questi casi sì, l’adrenalina sembra comportarsi come “una forma di ‘droga’ che dà dipendenza sia mentale che fisica”.
Ma no, non è questo il caso nostro. Con poche eccezioni – spericolati della domenica in pista, gare classiche di velocità – l’esperienza di guida dell’auto d’epoca si riassume in due parole: slow drive. E’ la chiave per godersi la guida in totale relax, immersi nel paesaggio*.
L’adrenalina non c’entra: sono altri gli ormoni che, semmai, si scatenano a bordo di un classico su quattro ruote: l’ossitocina, ormone della tranquillità; la serotonina, del buonumore e un po’ di dopamina, l’ormone del… piacere. Mhhh ecco che ci risiamo, perché anche la dopamina pare abbia a che pare con le dipendenze, ma in modo un po’ diverso. E poi, insomma, in medio stat virtus: è tutto questione di misura.
Se in condizioni di normalità infatti la dopamina cresce prima e nel corso di un’attività gratificante, negli individui dipendenti questo neurotrasmettitore si inceppa e il desiderio di ripetere il comportamento piacevole prende il sopravvento, spingendo la persona a ricercare continuamente la fonte di gratificazione, senza alcun sistema di controllo. (E. Di Paqua, Scienze, 02.02.2010).
A quanto pare il neurotrasmettitore funziona come dovrebbe solo al di sotto della soglia della dipendenza, oltre la quale agisce determinando una pura coazione a ripetere.
Quindi la mia non è una dipendenza vera e propria – se fino ad oggi non mi è capitato di sfidare il coprifuoco e rischiare il 650 c.p. E ci mancherebbe. Ma come la vogliamo chiamare, allora? Mah, diciamo una specie di nostalgia alla rovescia, piuttosto paradossale invero.
Per la vulgata, ‘nostalgia’ passa per parola del greco antico, tant’è che viene usata per descrivere il sentimento di Ulisse, dilacerato tra l’amore per la bellissima Calipso e il desiderio altrettanto prorompente di tornare a Itaca, la sua casa. In realtà si tratta di un composto su modello greco (νόστος [nostos] «ritorno» + άλγος [algos] «dolore») coniato da un tale Hofer, studente di medicina svizzero, che nel 1866 l’usò nella sua tesi di laurea per descrivere la malattia che colpiva i soldati suoi connazionali costretti a lottare lontani da casa.
Così come teorizzata da questo studentello piuttosto sveglio, “la nostalgia è una forza potentissima, un legame che trascende lo spazio e il tempo”; quella forza che “esiste da sempre e da sempre ci attrae perennemente all’indietro […] che sia un luogo o uno spazio non importa”. Non dunque una forza banalmente retrograda, ma precisamente quella forza che – proprio mentre siamo trascinati verso un futuro per definizione ignoto e brutalmente segnato dalla nostra finitezza – tiene il presente legato a luoghi, persone e oggetti perduti nel tempo, e così facendo lega le persone tra di loro e le lega ai tempi in cui quel ‘loro’ era anche e soprattutto un ‘noi’.
Perciò il sentimento non è poi così paradossale. Tolto il fatto che ora muove in senso inverso e anziché spingerci verso casa tende ad allontanarcene, a ben vedere, nel nostro caso, per tutti noi almeno, quell’oggetto inanimato, venuto dal passato, incarna quel legame e quindi ci porta sempre, ovunque siamo diretti, verso casa, nel luogo distopico dove la passione si fa comunità e l’incontro con l’altro trascende il tempo e lo spazio.
A pensarci bene, credo che questa lettura neutralizzi persino quella più tragica ma in fin dei conti più banale, secondo cui, essendo tutti in quarantena, più che case le nostre dimore sarebbero diventate vere prigioni. In realtà questo ci capita praticamente sempre, ogni volta che ci vien voglia, discretamente la nostalgia ci visita e, come dice Erri, si fanno presenti persone e luoghi e mentre ci mettiamo al volante della nostra bella, anche per fare un giretto, siamo già in buona compagnia.
Un giretto… cosa non darei
* La foto è tratta dal sito Slow Drive, che ringrazio.
As we sit in our homes, contemplating when we can get out of our self-imposed lock up, our trusting steed sits in its stall. The value of one gallon of gasoline can turn loose those horses and create music as we rush down the road, with the wind in our face. Imagine like a Roman soldier in his chariot being pulled by a team at speed. The sounds, smells and sensations excite the senses creating a pulsing of the heart at a fervor of passion to want more and to go faster. In time this will soon pass, then we can turn that key and let the horses run. I think I will go out and groom my horses for that moment.
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