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Giù la lista, subito!

9 febbraio 2020

Nella settimana in cui si abbatte su di noi quella calamità paraculturale che con coprofonica cadenza intrattiene circa 10 milioni di italiani e ne umilia 50, vorrei parlarvi di un’altra calamità, più intima, che pure colpisce indistintamente tutti gli amanti dell’auto d’epoca: la Guerra ACI contro ASI.

Perché trovo quanto meno spiacevole e quanto più deplorevole l’ennesimo rinfocolarsi della diatriba è presto detto: perché mi pare si scontrino non nell’interesse degli appassionati di quel mondo che son preposti a rappresentare e difendere, ma per quella torta, fatta di tesseramenti, certificati etc. che vale qualche milione di euro l’anno. Si tratta insomma, tanto per cambiare, in parole semplici di capire a chi va il diritto di mungerci e con quali strumenti.

Certo, calamità è parola grossa, in origine riservata ai disastri naturali, semmai ce ne mancassero. Ebbene temo sia proprio questo il punto: in Italia assistiamo da spettatori più o meno vaccinati a spettacoli miserandi, imbastiti con i soldi nostri, e questa ci sembra cosa naturale. Calamità su calamità, siamo alla calamitas.

Così paghiamo la RAI per sorbirci spazzatura, come paghiamo le nostre auto e continuiamo a pagarle, vita natural durante, attraverso l’imposta di possesso detta ‘bollo’ e alla pompa con accise dalle fragranze coloniali; e quando poi sono abbastanza vecchie paghiamo ancora per farle promuovere a veicoli “di interesse storico e collezionistico”, che lo siano effettivamente oppure si tratti di gasodomestici spompati da avviare sanamente alla rottamazione. Naturalmente, abbiamo ciò che ci siamo meritato.

Ma sarebbe anche ora di finirla. Di renderci conto che assistere inermi all’ennesimo scontro ci rende conniventi con un sistema di poteri e poterucci che sta minando alle fondamenta il motorismo storico. Bisogna reagire, chiedere a gran voce una mediazione che metta da parte gli interessi degli uni e degli altri e farla finita con questa guerra, in cui ad andare di mezzo sono come di regola coloro che mai l’avrebbero voluta. Ognuno faccia un passo indietro: l’ACI la smetta di sparare a zero e accetti il ruolo dell’ASI, non solo perché sancito da una legge dello stato, ma anche in ragione della sua storia; l’ASI accetti l’idea della lista e si metta subito al lavoro per definirne i criteri di composizione. E’ solo questione di tempo: prima o poi la politica, a fini eco-elettoralistici, ne imporrà l’introduzione: meglio giocare d’anticipo.

Dal titolo qualcuno potrebbe concludere frettolosamente che ho fatto mie le argomentazioni del Presidente ACI Sticchi Damiani. Non è così. Ne riscatto semmai l’idea della lista chiusa. Non perché il mio cuore sia, com’è, vicino al RIAR – guarda caso unico ente certificatore ad averne redatta una – ma perché era e rimane una mia vecchia convinzione, la cui difesa mi costò, in tempi non sospetti, l’espulsione da un Forum.

Al quesito se una Fiat Punto avesse un futuro come storica” risposi di sì: “reincarnata in frigoriferi, lavastoviglie etc.” Ebbene oggi, purtroppo, la mia battuta acquista pezze d’appoggio che con l’ironia (se non quella della sorte) hanno ben poco a che fare: svenduto e incasinato l’ILVA, tutta quella ferraglia vecchia che rotola ancora per le strade farà presto gola. Conservarla? Intanto per iniettare un po’ di lievito nella torta, beh sì d’accordo. Ma per che cosa? Per svendere a nostra volta un’idea populisticamente annacquata e persino feticistica di ‘democratizzazione’ del motorismo storico (conservare ogni singolo esemplare superstite di ogni modello di ogni casa costruttice?!)? Ne vale la pena?

[IN PROGRESS]

 

4 commenti leave one →
  1. pietro bianchi permalink
    10 febbraio 2020 12:28 am

    Attento, 40 anni fa tuo padre o tuo nonno avrebbero sostenuto la stessa idea per lo stuolo di fiat 500 scassate in circolazione ma ad oggi, al contrario, sia io che te siamo ben felici invece di trovarcene ancora tante attorno..

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    • 10 febbraio 2020 12:47 PM

      Ciao Pietro, sì lo so, questo è uno dei noti argomenti contro la lista, ma secondo me non regge per almeno due ordini di motivi:
      1. storico): la 500 fu e rimane il simbolo di un cambiamento epocale: promozione sociale, libertà etc. in un’Italia del tutto diversa. Molte delle macchine che oggi si vorrebbero salvare sono al contrario il simbolo della distruzione di quell’Italia a causa di politiche di mobilità sciagurate: città in cui si soffoca, dal paesaggio urbano dominato da scatole di metallo brutte tutte l’una uguale all’altra e palazzi storici che si sgretolano sotto una patina di smog. Se questi sono oggetti storici… benone: basta tenerne un paio in qualche museo per ricordarci di quanto siamo stati miopi.
      2. politico) si sa, in qualche caso qualcuno può essersi affezionato a uno di questi oggetti/simboli, perché divenuto depositario di affetti familiari etc. benissimo; ma questo è un fatto che rientra appunto nella sfera affettiva individuale, nella quale lo Stato non ci deve entrare: se davvero ci tieni, pedali (ovvero sgasi) per altri 10 anni o trovi soluzioni alternative, non aspetti agevolazioni statali, anche perché sei consapevole che per ogni caso di genuino trasporto sentimentale per uno di questi oggetti ce ne saranno altri 100 che useranno questo nobile argomento come pretesto per fare casa lavoro a buon mercato. Io la vedo così.

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  2. Paulo permalink
    10 febbraio 2020 6:28 am

    Sei troppo profondo e incomprensibile per la massa la chiarezza aiuta a far capire tutti! Non me ne volere! Io sono la massa

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    • 10 febbraio 2020 3:12 PM

      Ciao Paolo e benvenuto
      Lo ammetto: ci sono un paio di espressioni che possono riuscire oscure: una all’inizio e l’altra alla fine. Chiarisco: “coprofonico” è un modo – nemmeno tanto elegante – di dire ‘musica di merda’: quella del festival appunto.
      “feticistico”. Il feticismo è quella deviazione della libido, basata su un meccanismo simile a quello della sineddoche. Peggio mi sento, dirai tu 🙂 E invece è semplice: consapevole del fatto che l’oggetto del desiderio è sempre sfuggente, il feticista assume arbitrariamente una parte del corpo come oggetto del proprio desiderio (il piede p.e.) o qualcosa in relazione con esso (la scarpa p.e.). Cioè pars pro toto: una parte per il tutto. Questa la concezione del feticismo nell’immaginario collettivo. Mutatis mutandis, sotto questo punto di vista il collezionismo è sempre una declinazione nobile del feticismo: è volere quell’oggetto per accedere al tutto che esso rappresenta. Diventa ignobile quando il meccanismo si ribalta e diventa totum pro parte: il tutto per la parte. L’assurda pretesa di conservare indistintamente tutto il parco automotore del passato rientra in questa dimensione, direi patologica del feticismo. Più chiaro adesso? 🙂

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